BREVI CENNI DI GEOGRAFIA BIBLICA

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Il Territorio.............................................................................................................................................................................................. 1

LE GRANDI TAPPE DALLA STORIA BIBLICA........................................................................................................................... 1

1. La formazione e l'apogeo d'Israele............................................................................................................................................ 1

2. Il dramma del popolo diviso (932-587).................................................................................................................................... 2

3. Lo sviluppo del Giudaismo in seno agli imperi mondiali....................................................................................................... 3

4. Le origini del Cristianesimo......................................................................................................................................................... 5

 

Il Territorio

Il punto di partenza della geografia biblica è la cosiddetta “mezzaluna fertile”,  cioè quella parte di territorio che si estende dall'Egitto fino al Golfo Persico. Alle due estremità vi si trovano due valli che, in antico, favorirono la prima agricoltura e l'allevamento del grosso bestiame.

A est, la bassa valle del Tigri e dell'Eufrate, fin dal IV millennio fu infatti la sede della civiltà sumerica, mentre popolazioni semitiche, gli Accadi, si sarebbero installati a loro volta lungo il corso medio e superiore dei fiumi.

A ovest, la valle del Nilo ha permesso all'Egitto di sviluppare parallelamente un'altra civiltà con stabilità secolare. Al centro della mezzaluna, terreni fertili ricoprono tutta la Mesopotamia, particolarmente nella grande ansa dell'Eufrate e nell'alta Siria.

La striscia di terra abbastanza stretta, che forma come un corridoio tra il mar Mediterraneo e il vasto deserto siriaco e arabico, dove le vie di comunicazione sono determinate dalla geografia fisica, è luogo di passaggio obbligato fra l'Africa e l'Asia, fra la steppa e il mare: luogo di passaggio quindi anche d'invasioni di conflitti.

Tale terra, situata fra centri economici importanti, si trovava quindi spesso disputata fra conquistatori venuti dal sud (Egitto) e dal nord (Semiti della Mesopotamia, Hittiti dell'Asia Minore, Hurriti installatisi verso il XV secolo nella grande ansa dell'Eufrate), dall'ovest (popoli del Mare venuti dalle isole e dalle sponde mediterranee) e dall'est (seminomadi della steppa attratti dalle ricche terre coltivate). Essa probabilmente deve a questo fatto l'estrema diversità della sua popolazione e l'endemica instabilità della sua situazione politica. Qui è vissuto il popolo della Bibbia.

 

LE GRANDI TAPPE DALLA STORIA BIBLICA

Nell’Antico Testamento non si può separare la storia nazionale dalla storia religiosa: sono inserite l'una nell'altra. Il percorso storico può essere suddiviso in tre grandi fasi per l’AT e una per il Nuovo T.

 

1. La formazione e l'apogeo d'Israele

La formazione del popolo d'Israele in Canaan sembra sia dovuta a due ondate successive di clan seminomadi e di popolazioni del gruppo semitico, denominate così a motivo delle loro lingue apparentate e del loro aggancio fittizio allo stesso antenato preistorico: Sem, figlio di Noè, l'eroe del diluvio nella tradizione biblica. Una prima migrazione, di origine amorrea, sarebbe venuta dalla regione di Harran, nella grande ansa dell'Eufrate, verso il secolo XIX o XVIII, fissata nel sud della Palestina (Ebron), riconducibile ai nomi dei patriarchi, o capi di clan Abramo e Isacco. Una seconda migrazione, di origine aramea come i fondatori dei minuscoli Regni siriani, giunse verso il secolo XV, fissandosi presumibilmente nella zona montuosa centrale (Betel e Sichem), riconducibile al nome di Giacobbe.

Alcuni discendenti di questo gruppo soggiornarono durante un certo periodo in una regione di frontiera controllata dall'Egitto, all'estremo sud del paese di Canaan. Al tempo del rinascimento egiziano sotto Ramsès II (1290-1224 a.C.), essi ripresero la vita seminomade nelle steppe della penisola sinaitica (forse verso il 1260). In questa circostanza prese spicco la figura di Mosè, che diede al gruppo di emigranti una vera coscienza nazionale, dotandolo di un culto e di un diritto. Ma è soltanto con la successiva generazione che la piccola nazione in via di sviluppo attraversò il Giordano e ritornò in Canaan, ritrovando gli antichi clan già residenti nelle zone destinate al pascolo e all'agricoltura. Intorno ad essa, durante i secoli XII e XI, si costituì una federazione di dodici tribù, alla quale si aggregarono altri clan e alcune popolazioni locali. Ebbe come centro un santuario comune, dedicato al Dio dei Patriarchi e di Mosè. Così nacque alla storia la nazione d'Israele. Per mettere in atto concretamente la coscienza della sua unità, riunì le tradizioni ancestrali dei vari clan organizzandole intorno ad una genealogia convenzionale che metteva insieme i nomi dei diversi patriarchi e ad essi ricollegava gli antenati fittizi delle dodici tribù confederate. Il legame fra le tribù restava comunque fragile. Quanto al santuario federale, esso ebbe numerosi punti di sistemazione nella zona montagnosa centrale. Conflitti fra tribù e lotte contro le città cananee o contro le popolazioni limitrofe caratterizzarono questa epoca, denominata dei Giudici o governanti locali.

Verso la metà del secolo XI la pressione delle cinque città filistee situate sulla costa mediterranea mise in pericolo l'esistenza stessa della confederazione israelita. Sotto la spinta delle circostanze, e per impulso di un capo religioso, Samuele, gli Israeliti adottarono allora l'istituzione monarchica, per organizzare le guerre e governare l'insieme delle tribù nel quadro del culto e del diritto tradizionale. Il primo re, Saul (1040-1010 a.C.), perì in una battaglia contro i Filistei, alleati delle città cananee. Ma la monarchia riprese il suo slancio con il giudeo Davide, prima nella tribù meridionale di Giuda (1010-1003 a.C.), poi nel Regno unito di Giuda e Israele (1003-972 a.C.) capovolgendo la situazione. Occupata la città di Gerusalemme (verso il 1000), Davide la scelse come una capitale dinastica, indipendente dalle diverse tribù. Sottomise progressivamente tutte le città cananee e i piccoli regni limitrofi: Filistei a ovest, Edomiti al sud, Moabiti e Ammoniti a est, Aramei al nord, estendendo alla fine il suo protettorato fino ad Hamat, regno limitrofo dell'Eufrate. Intratteneva rapporti di alleanza con i porti della costa fenicia, particolarmente con Tiro, creando un embrione di impero. Lo splendore apparente del regno di Salomone (972-932 circa), che costruì a Gerusalemme un Tempio ed un palazzo reale, preparò invece il rapido crollo del regno.

 

2. Il dramma del popolo diviso (932-587)

Salomone aveva finito per comportarsi come un sovrano orientale, scarsamente preoccupato della Legge religiosa e sociale che conservava la tradizione di Mosè e dei Patriarchi. Alla sua morte (932), la tensione latente fra il nord del paese (Israele) e il sud (Giuda) provocò una scissione nello stato fondato da Davide. Israele e Giuda, pur essendo consapevoli in teoria di formare un solo popolo, unito dallo stesso Dio e dal medesimo culto, si ritrovarono ormai come due regni indipendenti, spesso nemici. Israele fissò la capitale nella nuova città di Samaria, nell'anno 879. La sua vita politica fu caratterizzata da una costante instabilità dinastica, eccetto sotto la dinastia del re Ieu durata un secolo (841-743). Il fatto non è da attribuirsi solo alle rivolte di palazzo: derivò anche dalla lotta condotta dagli ispirati, i profeti, contro le esazioni del potere e il ritorno al paganesimo cananeo al quale i re spesso cedettero. All'esterno, le guerre continue contro Giuda e contro il regno arameo di Damasco spinsero l’intervento dell'Impero assiro che sottomise o si annesse progressivamente, nell'ottavo secolo, la maggior parte dei piccoli stati di Siria e di Palestina.

Samaria cadde nel 722: Damasco e l'antico regno d'Israele divennero allora province assire, le loro élites sociali furono deportate e sostituite con coloni mesopotamici.

Il regno fondato da Davide, ridotto alla tribù di Giuda e al territorio di Gerusalemme, conobbe, al contrario, una stabilità dinastica basata su motivi religiosi: la discendenza di Davide, legata alla capitale e al suo Tempio, rimase custode della speranza nazionale. Tuttavia la politica interna dei re divenne sovente, come nel Regno del Nord, bersaglio delle identiche critiche dei profeti, attaccati alla tradizione religiosa e difensori dei diritti degli individui contro gli eccessi del potere. Durante l'apogeo dell'Assiria (705-650 ca.), Giuda si ridusse quasi ad un regno vassallo, amputato nel 701 della maggior parte dei suoi distretti. Il rapido crollo dell'impero alla fine del regno di Assurbanipal (668-625) permise al re Giosia (640-609) di restaurare per un certo tempo l'indipendenza, operando contemporaneamente una riforma religiosa e sociale conosciuta dal Deuteronomio (622). Ma la potenza di Babilonia successe allora a quella di Ninive, soprattutto a partire dall'avvento di Nabucodonosor (605-562). Giosia morì in battaglia nel 609 e gli ultimi re di Giuda non poterono contenere la spinta babilonese. Il re Iojachin, deportato nel 598 dopo un primo assedio di Gerusalemme, divenne capostipite in Babilonia. Nel 587, la città, nuovamente assediata, fu presa e incendiata, il Tempio distrutto. L'élite religiosa e sociale di Giuda fu deportata anch'essa in Babilonia, sia nel 598 che nel 587. Sussistevano, però, in Giudea, in Egitto, in Babilonia, in Arabia, piccole comunità locali che costituirono il punto di partenza di un rinnovamento straordinario.

 

3. Lo sviluppo del Giudaismo in seno agli imperi mondiali

Non si trattò di un rinnovamento di carattere politico, per il quale la nazione, ormai dispersa, non aveva i mezzi; fu un rinnovamento religioso e sociale. Proprio in mezzo al disastro della deportazione, i tentativi di riforma suscitati dai profeti nel corso dei secoli precedenti e già concretizzatisi al tempo di Giosia portarono infatti ad una conversione nazionale durevole che restaurò nei Giudei rimasti un'autentica fedeltà al Dio unico, al suo culto, al diritto fissato nella Legge, alle esigenze morali e sociali della predicazione profetica.

Il Tempio era stato distrutto, perciò il culto, per le comunità della Palestina e per quelle in esilio, sussisteva solo nella forma di riunioni di preghiera durante le quali si rileggevano i testi sacri della Legge e le predicazioni dei profeti raccolte per iscritto: è qui l'origine remota delle riunioni sinagogali che sussistono nel Giudaismo attuale. Lo sforzo di conversione religiosa e il lavoro di riorganizzazione pratica avvennero grazie ad un gruppo direttivo costituito dagli Anziani e dai capifamiglia, dai sacerdoti e dagli inservienti del Tempio (i leviti) appartenenti per nascita alla tribù di Levi, dai profeti il cui numero e importanza diminuirono a poco a poco, dagli scribi che gradatamente posero la loro arte al servizio delle Scritture sacre, prima di fornire legisti laici, più o meno in concorrenza con i sacerdoti specialisti della Legge. Tutto questo si realizzò in seno agli imperi che, a partire dal VI secolo, si succedettero nel dominio di tutto il Medio Oriente.

 

Il primo fu l'impero persiano. Ciro, che aveva realizzato a suo vantaggio l'unità delle tribù iraniane, conquistò Babilonia senza colpo ferire nel 539. Inaugurando una politica liberale che rispettava le usanze particolari di ogni popolo sottomesso, restituì ai Giudei esiliati, fin dal 538, il diritto di rientrare nel loro paese e di ricostruire il Tempio. Esso fu riedificato fra il 520 e il 515, sotto Dario I: l'antico territorio di Giuda diventava di nuovo l'ideale centro nazionale del popolo disperso. Questi otteneva, grazie ad un perfetto lealismo politico, l'autonomia cultuale, culturale, legislativa, sociale ed anche, fino ad un certo punto, amministrativa, in tutti i luoghi dove i suoi gruppi locali si erano stabiliti. Il sommo sacerdote residente a Gerusalemme diveniva suo capo e garante presso le autorità imperiali. Questo statuto, nazionale e religioso al tempo stesso, doveva conservarsi intatto sotto tutti gli imperi successivi, nonostante alcuni sussulti avvenuti in Giudea. Nel V secolo l'opera dei primi restauratori fu completata in una duplice maniera: fra il 445 e il 425 Neemia si servì dei suoi funzionari ufficiali alla corte persiana per ottenere l'erezione della Giudea a provincia indipendente; poi, forse nel 398, a Esdra fu affidato il compito di promulgare la Legge, fissata in modo definitivo perché fosse la base dello statuto ufficiale del Giudaismo riorganizzato.

 

L'epoca ellenistica. Le conquiste di Alessandro Magno (333-323) rispettarono questo stato di cose. In seguito, mentre uno straordinario moto di fusione fra le culture e le religioni locali dava origine alla civiltà ellenistica, il Giudaismo disperso seppe conservare la sua originalità e la sua autonomia grazie allo statuto riconosciuto e protetto dallo stato. La Bibbia, ormai formata ma non ancora conclusa, restava la base della sua vita, della sua organizzazione, del suo culto. La crisi fece la sua comparsa in Giudea nel secondo secolo. Questa provincia, che rimaneva il focolare nazionale grazie al Tempio e alla presenza del sommo sacerdote, era passata nel 197 dalla dominazione dei re Lagidi (i Tolomei), stabilitisi in Egitto, a quella dei re Seleucidi, stabilitisi in Siria. Ora, l'aristocrazia locale ed una parte del clero del Tempio furono coinvolti in un movimento modernista che tentò di ellenizzare il culto, la vita e le istituzioni giudaiche. Il re Antioco IV Epifane nel 168 promulgò un decreto che pretendeva di ellenizzare con la forza la Giudea.

Il gruppo fedele dei sacerdoti e il popolo però si ribellarono. Nel giro di pochi anni la rivolta giunse a liberare Gerusalemme, a restaurare il culto tradizionale e a riconquistare l'indipendenza politica sotto una dinastia di sommi sacerdoti, gli Asmonei, che concentrarono nelle loro mani i poteri religioso, politico e militare (verso il 150). Nel 104 uno di essi assumeva il titolo di re. Ma questo risveglio nazionalista, unito alla restaurazione cultuale, rapidamente si era abbinato ad una decadenza morale assai accentuata. Fecero in seguito la loro comparsa alcuni partiti religiosi. I Sadducei, reclutati soprattutto fra l'aristocrazia sacerdotale e civile, sostenevano la dinastia al potere. Gli Esseni, che contestavano la sua legittimità per motivi cultuali, avevano rotto con il Tempio di Gerusalemme. Oggi essi sono ben conosciuti anche grazie alle scoperte archeologiche fatte fin dal 1947 a Qumran, nei pressi del Mar Morto: si sono ritrovate le rovine del loro centro, organizzato come un convento, e la loro biblioteca nascosta in alcune grotte al momento dello scoppio della guerra giudaica (67-70 d.C.). I Farisei, reclutati soprattutto fra i legisti laici e organizzati in «gruppi di purità legale», esercitavano un influsso crescente sulle masse popolari. Strenuamente attaccati alla pratica minuziosa della Legge ma aperti alla speranza religiosa, essi si opponevano ad una monarchia che non discendesse dalla dinastia di David, poiché attendevano con impazienza la venuta del Messia regale che avrebbe restaurato la libertà nazionale.

L'arrivo dei Romani. I dissensi fra i partiti segnarono la fine dello Stato asmoneo. I Romani si erano già creati un impero in Oriente. Nel 63 Pompeo intervenne come arbitro a Gerusalemme su richiesta dei partiti giudaici: il gran sacerdote, da lui insediato, divenne quindi un vassallo di Roma. Nel 34 un semigiudeo, Erode, diveniva re di Giudea per decreto del Senato romano. Dopo la sua morte (4 a.C.), le province del regno (Giudea al sud, Samaria al centro, Galilea al nord, Perea al di là del Giordano) furono spartite fra i suoi figli. Ma nel 7 d.C. la Giudea e la Samaria divennero provincia romana. Erode Antipa restò come «tetrarca» in Galilea fino a che Roma non lo spedì in esilio nel 39. Suo nipote Agrippa I ottenne allora dagli imperatori Caligola e Claudio una restaurazione progressiva dell'antico regno di Erode il Grande (39-44); la dinastia però era detestata dalle masse giudaiche e alla fine tutto il paese passò sotto l'amministrazione diretta del governatore romano, insediato nel porto di Cesarea.

Nel 66, un partito ultranazionalista fondato verso l'inizio dell'era cristiana e noto negli anni 60 con il nome di Zeloti, scatenò la rivolta contro Roma. Una guerra assai dura ebbe fine nel 70 con l'occupazione di Gerusalemme e la distruzione del Tempio, mentre il generale Vespasiano stava per essere eletto imperatore. Una frazione pacifista dei Farisei si era dissociata dai rivoltosi: per mezzo di essa, sotto la guida di Johanan ben Zakkai, il Giudaismo si riorganizzò, fra il 75 e la fine del primo secolo, intorno ai «dottori della Legge» che avevano mantenuto la loro autorità morale. Una seconda rivolta ebbe luogo sotto l'imperatore Adriano nel 132-135 e finì in una catastrofe: i Giudei furono proscritti da Gerusalemme; l'intera provincia fu denominata Palestina; le scuole rabbiniche che ormai avevano in mano la custodia dell'istituzione, si ritirarono in Galilea. Nondimeno, lo statuto giuridico che faceva dei Giudei una nazione autonoma riconosciuta sia nell'impero romano come nell'impero dei Parti al di là dell'Eufrate rimase in piedi. Le due guerre praticamente avevano intaccato solo il «focolare nazionale»: la situazione dei Giudei della «Diaspora», cioè dispersione, consacrata dal diritto consuetudinario, rimaneva intatta. Questo fatto, unito alla loro solidità familiare e ad un proselitismo che aggregava ad essi un certo numero di pagani, assicurò la sopravvivenza del Giudaismo, che come istituzione religiosa poté quindi sfidare i secoli.

 

4. Le origini del Cristianesimo

Gesù di Nazareth. Il Cristianesimo sorse in seno al Giudaismo palestinese, al tempo di Erode e dei prefetti romani. Gesù di Nazareth, suo fondatore, nacque alla fine del regno di Erode il Grande, verso il 6-7 prima della nostra era. Questa prende come punto di partenza la data della nascita di Gesù, ma gli errori di calcolo di Dionigi il Piccolo (VII secolo), che fissò questa data secondo l'era della fondazione di Roma, hanno comportato un divario praticamente impossibile correggere.

Un profeta austero, Giovanni il Battista, aveva preceduto Gesù di pochi anni. Dopo aver trascorso un breve periodo insieme al gruppo vicino a Giovanni, Gesù abbandonò il suo mestiere di artigiano per seguire una vocazione strettamente personale. Passando di villaggio in villaggio nella sua provincia di Galilea e approfittando soprattutto delle opportunità offerte dalle riunioni sinagogali, ogni «Sabbat» (il nostro sabato) annunciava pubblicamente l'imminente realizzarsi delle promesse dei profeti e la venuta del regno di Dio. Predicazione di carattere popolare, trapuntata di parabole, enunciata con autorità senza riferimento alla tradizione dei «dottori della Legge», esigente nelle sue conseguenze pratiche, ma affascinante per il suo dinamismo interiore, all'inizio rianimò la speranza di poche persone. Un gruppo di discepoli si legò a Gesù e incominciò ad accompagnarlo nelle sue peregrinazioni missionarie. Ma presto questa novità lo rese sospetto, per motivi diversi, alle autorità politiche (Erode Antipa in Galilea, la polizia romana in Giudea), alle autorità religiose (l'aristocrazia sacerdotale incaricata del culto del Tempio, che aveva in mano il Gran Consiglio o Sinedrio), ed anche al partito dei Farisei, attaccato ad una concretezza pratica, della Legge e delle tradizioni, contestata da Gesù. La sua attività pubblica durò solo poco più di due anni (probabilmente dal 27 alla Pasqua dell'anno 30). Ebbe termine con un'accusa di ribellione politica mossa dalle autorità di Gerusalemme davanti al prefetto romano. Gesù fu condannato alla crocifissione.

 

La Chiesa cristiana. Paradossalmente, questa morte che avrebbe dovuto mettere fine all'impresa di Gesù, costituì il punto di partenza di uno sviluppo inatteso. Per sapere come questo si realizzò conviene lasciar parlare i testi che, fra gli anni 30 e l'inizio del II secolo, ne rendono testimonianza. La Chiesa cristiana non è nata direttamente dalla morte di Gesù né dalle riflessioni che questo avvenimento potè suscitare in un gruppo entusiasta: i discepoli ne rimasero completamente disorientati. Ma in seno al loro gruppo si verificò una serie di esperienze che rianimarono la fede in crisi: si trattò delle manifestazioni di Gesù vivente, entrato ormai nella «gloria» di Dio. Fino a quel momento i discepoli, come Gesù stesso e come molti altri Giudei (soprattutto i Farisei), avevano atteso per se stessi e per i loro defunti una «ricomparsa» di tra i morti, una «risurrezione» dovuta alla potenza salvatrice di Dio che avrebbe permesso ad essi di partecipare al «mondo futuro», quel mondo ove non ci sarà più «né morte, né lamento, né affanno» (Ap 21,4). Ma tutto questo era atteso alla conclusione della storia terrena. Ora, le apparizioni di Gesù vivente mostravano che per lui questo «futuro di Dio» era stato anticipato: essendo entrato per primo nel «mondo futuro», corrispondente al «Regno di Dio» realizzato in pienezza, egli aveva aperto ai vivi e ai morti la strada per trionfare del male ed entrarvi a loro volta.

Al tempo stesso Gesù poteva essere riconosciuto come il mediatore della salvezza per tutti gli uomini, il Messia atteso dai Giudei, «il Figlio» per la sua relazione unica con Dio che egli chiamava già «Padre» nella sua preghiera personale. Da annunciatore del Vangelo, Gesù ne era divenuto così l'oggetto centrale.

È evidente che, riguardo all'esperienza delle apparizioni, credenti e non credenti danno necessariamente valutazioni diverse. Stando però alla testimonianza dei testi, essa si ricollega strettamente da una parte all'attività di Gesù durante la sua vita, dall'altra alla strana vitalità del gruppo che ormai prenderà il nome di «Chiesa», cioè di «assemblea convocata» intorno al Cristo risorto. Non si può eliminare dalla storia una simile attestazione: si renderebbero del tutto incomprensibili le origini del cristianesimo. Quanto a esprimere un giudizio di valore sulla natura dell'evento, ognuno lo fa seguendo la propria coscienza.

Sta il fatto che la piccola comunità di discepoli riunita a Gerusalemme si diffuse rapidamente, nonostante l'opposizione delle autorità giudaiche. Raggiunse assai presto alcuni circoli giudaici di lingua greca, in relazione con i gruppi locali della Diaspora in territori pagani. Fin dagli anni 30 comunità locali erano state in realtà fondate in Galilea, in Samaria, nei porti della pianura marittima e fino a Damasco. La conversione di un giovane fariseo che le aveva perseguitate violentemente, Saulo di Tarso in Cilicia, un Giudeo bilingue che aveva ricevuto una formazione da «dottore della Legge», apportò loro un appoggio decisivo. Ad Antiochia di Siria, alcune persone di nazionalità non giudaica erano state ammesse a far parte delle comunità cristiane senza passare attraverso il Giudaismo, comunità religiosa e nazionale insieme.

Saulo di Tarso, divenuto l'apostolo Paolo, si fece promotore appassionato ed efficace di questo reclutamento libero da qualsiasi forma di particolarismo. La sua attività, contestata da Giudeo-cristiani conservatori, fu approvata, nel 49, da colui che restava il capo dei dodici apostoli scelti direttamente da Gesù: Simon Pietro. Da allora predicatori itineranti percorrono la Siria, la Mesopotamia, 1'Asia Minore, tutto il bacino del Mediterraneo, approfittando della rete di comunità giudaiche esistente nelle città e anche talvolta nelle campagne. È possibile seguire la traccia dei viaggi di Paolo durante una quindicina di anni fino al suo arresto a Gerusalemme nel 58, la sua prigionia a Cesarea di Palestina (58-60), il suo trasferimento a Roma e i due anni di prigionia in questa città (61-63). Essendo per nascita cittadino romano, era sfuggito al processo intentato dalle autorità giudaiche, appellandosi, come cittadino romano, al tribunale dell'imperatore. Non abbiamo però informazioni sul lavoro di evangelizzazione degli altri missionari. Si ritrova la traccia di Pietro a Roma, dove morì durante la persecuzione scatenata da Nerone (verso il 64) contro i cristiani abbastanza numerosi in città. Paolo vi fu suppliziato nello stesso periodo di tempo. Questa ventata di violenza era però localizzata in Roma. Le chiese proseguirono la loro avanzata nonostante l'assenza di qualsiasi statuto legale che avrebbe conferito ad esse il privilegio di «religione autorizzata». Il reclutamento e il funzionamento interno delle loro riunioni che si tenevano ogni domenica, aveva fatto superare qualsiasi barriera di razza, di nazione, di lingua e di classe sociale. Il loro rifiuto del culto all'imperatore, dal quale erano dispensati solo i Giudei a motivo del loro statuto particolare, poneva i cristiani in una strana situazione, che finì per attirare l'attenzione della polizia imperiale. Vi fu una persecuzione in Oriente alla fine del regno dell'imperatore Domiziano (verso il 195). Ma all'inizio del II secolo i loro gruppi locali erano già numerosi come le comunità giudaiche in contrade come la Siria e l'Asia Minore: una lettera di Plinio il Giovane all'imperatore Traiano (verso il 110) lo attesta per la provincia romana della Bitinia.

Il Cristianesimo, quindi, si staccò solo a poco a poco dall'ambito giudaico. La spaccatura definitiva fu causata, da un lato, dal ruolo e dalla dignità attribuiti alla persona di Gesù nella fede cristiana, dall'altro, all'ingresso massiccio di persone venute dal paganesimo nelle chiese locali.

Negli anni 80 le autorità responsabili del Giudaismo riorganizzato scomunicarono ufficialmente tutti i giudei divenuti cristiani, privandoli così dello statuto civile che li aveva protetti fino a quel momento. Quanto alle autorità romane e agli scrittori pagani, dimostrarono per i cristiani un'attenzione mista di disprezzo e di malevolenza solo quando le loro comunità locali ebbero raggiunto un discreto sviluppo, oppure quando entrarono in conflitto con i giudei. In pratica, quindi, solo la documentazione cristiana ha fornito informazioni sulla vita e il funzionamento delle chiese nel primo secolo. Va da sé che esse vi sono viste dall'interno, partendo dall'esperienza e, in genere, senza alcuna preoccupazione di propaganda diretta. Il reclutamento di nuovi credenti non avveniva allora per mezzo di una letteratura simile a quella delle sette filosofiche. Si realizzava soprattutto attraverso il contatto diretto e la testimonianza orale, che permettevano di far conoscere la nuova fede a coloro che potevano essere attirati dal messaggio evangelico oppure che capivano di poter in esso placare la loro inquietudine religiosa. L'amore fraterno fra i cristiani faceva il resto.

(Da: Pierre Grelot, Leggere la Bibbia, Piemme 1990).