Stella Morra ai Sacri Cuori 10/02/2010

Stella Morra ai Sacri Cuori, ecco la lectio di maggio 2018 in versione audio: 

Stella Morra ai Sacri Cuori, lectio del 5 maggio 2018: 
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Percorso di formazione liturgica.

Per mettere in moto un metodo di responsabilizzazione, ma anche di soggettività, il 10 gennaio si è ascoltato un esperto, Andrea Grillo, che ha fatto una buona relazione, per poi ascoltarsi reciprocamente perchè soprattutto sulla liturgia scattano spesso delle questioni pre-razionali: questo mi piace, questo non mi piace, questo mi dà fastidio, non piace a te ma piace a qualcun altro. Basti pensare alle discussioni sui canti, spesso sono eterne, perché alla fine pare che non ci sia nessun criterio, cioè qual è il criterio per cui questo canto va bene e questo non va bene. Il criterio in una comunità parrocchiale rispetto alla liturgia, la liturgia in generale ma anche in tutte le sue parti, alle scelte più concrete può essere solo mi piace o non mi piace? Evidentemente no. Quindi come facciamo ad ascoltarci, dialogare e maturare insieme alcune scelte che magari non sono quelle che io avrei scelto per me, ma che riconosciamo come le scelte utili, importanti e significative per la comunità? Questo metodo ha una storia molto antica nella chiesa, si chiama metodo sinodale ed ha la logica dell’ascoltarsi e del lasciarsi spostare dalle questioni che gli altri pongono, ovviamente questo metodo ha molti pregi, ma ha anche un difetto perché apparentemente è un metodo lento, perché bisogna ascoltarsi, poi ripensarci, poi cambiare la posizione, poi ridiscutere, poi cercare i criteri, è un metodo inefficiente, non è di quelle cose che se i preti si mettono in ufficio e decidono come fare, in un quarto d’ora pianificano e decidono molto facilmente: questo non può diventare lo stile celebrativo della comunità.

Allora l’obiettivo di questo percorso di formazione sarebbe non tanto come in un corso di scuola dove c’è un programma già stabilito, ad es. in otto lezioni impariamo questi contenuti, ma è piuttosto la logica di un percorso che aiuti le comunità a maturare il proprio stile celebrativo, beninteso dentro al grande contenitore che ha comunque alcuni criteri, che è quello della celebrazione della chiesa cattolica, cioè di come la chiesa insegna, dei paletti che dà, quanto alla celebrazione liturgica, ma proprio perché la chiesa ci insegna in particolar modo nella riforma liturgica che le celebrazioni non sono mai astratte, ma sono sempre quella liturgia di quella comunità, in quel giorno, in quel luogo, a Roma e non a Calcata, nel 2010 e non nel 1247, e proprio per questo la chiesa stessa ci chiede di fare nostra quella celebrazione attraverso uno stile celebrativo. Questa cosa attraverso il corso dei secoli ha avuto varie forme, ancora oggi ne abbiamo degli echi, per es. gli ordini religiosi hanno degli stili celebrativi e di vita, se uno incontra un religioso, se un po’ conosce e frequenta le chiese s’accorge se quel religioso è salesiano o gesuita. Perché ci sono degli stili, dei temi, dei modi. Allora un ordine religioso intorno al carisma del proprio fondatore, alla propria tradizione, delle cose di cui si occupa, degli obiettivi che si dà ecc., matura uno stile e non è che le comunità cristiane solo perché non hanno nel parroco e nel vice parroco il carisma del fondatore, perché sono le comunità ordinarie, dove vive gente anche diversa, non devono avere uno stile proprio.

Allora tutta questa chiacchierata per dire la questione a cui tutto questo itinerario di formazione punta è imparare un metodo attraverso il quale provare ad elaborare, a maturare almeno qualche parte di uno stile celebrativo perché poi uno che viene a Messa qui dice si vede che questa    è la parrocchia x, y, perché loro si sa che hanno questo stile oppure se cambiano i preti e non è che il parroco è lui il padrone della parrocchia, per cui se cambia arriva un altro fa tutto diverso, butta tutto all’aria, no, c’è una comunità che ha un suo stile, in dialogo col proprio parroco o coi pastori che ne hanno cura, ma che ha un suo stile, questa sarebbe un’idea, che non è chiaramente una mia idea, ma è l’idea della riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Di questa riforma liturgica tutti abbiamo già imparato fortunatamente gli aspetti al negativo, cioè quegli aspetti che hanno tolto delle questioni, tolto il latino, semplificato ed essenzializzato la liturgia, che erano tutte quelle questioni, così la riforma le ha interpretate, che potevano creare delle difficoltà e problemi. Ma  questa è solo la prima ricezione della riforma liturgica, la seconda ricezione comincia adesso, in questi anni , ed è quella in positivo, di imparare lo stile liturgico di Vaticano II  e renderlo vitale, ordinario per le nostre comunità, altrimenti abbiamo semplicemente tolto alcuni riti, abbiamo messo altri riti ma nella sostanza non è cambiato niente, e dunque abbiamo chi dice questo mi piace questo non mi piace questa cosa la capisco,questa non la capisco, questo mi sembra che aiuti a concentrarmi questa mi pare crei troppa confusione, non va bene, su criteri esclusivamente individuali, ma il soggetto della liturgia non siamo i singoli, il soggetto della liturgia è Cristo e la chiesa e dunque un soggetto comune.

Allora tutto questo per dire qual è la finalità.  L’idea per stasera sarebbe questa, se serve, ditemelo voi, io provo a richiamare alcuni punti delle cose già dette, ed in generale lo stato dell’arte. Poi avete in mano un foglio che è una specie di lettera di considerazioni che questo gruppo di parroci insieme hanno fatto rivedendo il materiale dell’incontro del 10 gennaio.  

 

Quindi l’idea sarebbe, ditemelo voi, un piccolo richiamo delle idee di fondo e poi ragionare insieme leggendo il foglio stilato dai parroci.

 

Prima questione che ogni tanto ci sfugge: qual è lo scopo della liturgia nella vita cristiana?

Lo scopo della liturgia nella vita cristiana, per come ci insegna la chiesa, è darci la possibilità, per altro l’unica possibilità, di un accesso, di un incontro, la famosa espressione incontrare il Signore che noi usiamo oggi con molta facilità, in realtà l’unico incontro che noi possiamo avere col Signore Gesù, col mistero della sua morte e risurrezione, l’incontro certo è quello che avviene nella liturgia eucaristica, perché la vita, la morte e la risurrezione di Gesù sono un fatto della storia, che dista da noi duemila anni. Perché quel fatto sia attivo per me oggi, sia vero per me oggi, reale per me oggi, ci insegna la chiesa, serve un gesto sacramentale che è quello liturgico, non basta che io me ne ricordi, ci creda, senta, c’è tutto un modo comune che sposta molto su di noi l’accento, poiché io ci credo, mi funziona, che va benissimo, è una cosa ottima, ma questo non è ancora l’incontro col Signore di cui parla la chiesa, il mistero dell’incontro con Gesù morto e risuscitato. Nell’esperienza credente il luogo proprio dove noi abbiamo accesso a questo mistero è la liturgia e vi abbiamo accesso nella liturgia in una forma propria che non è la forma delle idee, ma è la forma della esperienza simbolico rituale. Ogni tanto noi diciamo della esperienza di Dio, saltando i due aggettivi, perché non sapendo bene cosa vogliono dire li togliamo, solo che se noi diciamo dell’esperienza di Dio diciamo una cosa sbagliata, perché la liturgia non è un laboratorio dove uno fa un’esperienza nel senso comune con cui oggi si usa questa parola. Fare esperienza nel linguaggio contemporaneo significa misurare, sentire, toccare, vedere, scientificamente provare, questo nella liturgia non accade, se ci aspettiamo questo non accade, facciamo invece un’esperienza nella forma simbolico rituale. Se volete la forma vicina che abbiamo nella vita ordinaria di questo è l’esperienza artistica o poetica, in cui uno di fronte ad un teatro, di fronte ad un quadro, ad una poesia fa un certo tipo di esperienza, casca dentro al film e gli viene l’ansia come se fosse lui in pericolo in quel film, fa un’esperienza di ansia in una forma simbolico rituale, perché in realtà sta a casa sua in poltrona seduto comodo e tranquillo e non corre nessun pericolo. Dico che la forma simbolico rituale è vicina a questa esperienza, non è uguale a questa esperienza, cioè la liturgia non è un’esperienza artistica tout court, è un’esperienza simbolico rituale, è un’altra cosa, sta da quella parte dell’esperienza piuttosto che non dalla parte delle esperienze scientifiche, che hanno un’altra logica e altre regole. Da questo punto di vista per la liturgia ci viene richiesta la fede, ma in che cosa dobbiamo credere?! Dobbiamo credere e fare l’atto di fede che si fa prima di andare alla liturgia, che è il motivo per cui ci si va, che Dio farà la sua parte, avere fiducia che Dio farà quello che deve fare, che Dio è un buon regista e dunque per quanto compete a lui, farà funzionare quella cosa e noi facciamo la nostra parte andando alla liturgia, e quando dico andando lo dico in modo proprio concreto, il dato simbolico rituale è un dato che riguarda il corpo, quindi noi dobbiamo esserci, fisicamente portare lì il nostro corpo, i nostri sensi, i nostri pensieri che sono la maggior parte del nostro corpo, le nostre preoccupazioni, le nostre gioie, il pezzo di vita che stiamo attraversando e quella è la nostra parte. Quello che dovrebbe succedere in mezzo è appunto un’esperienza in forma simbolico rituale che consente a queste due realtà di incontrarsi, essendo certi che Dio la sua parte la sa fare. Per questo esiste la forma liturgica, cioè i rituali, il luogo, i tempi, i modi, i gesti, i segni, le parole, i canti, ecc., tutto quello che si vede. Ora il problema di fronte a cui Vaticano II si trova è questo aggancio in qualche modo automatico nella forma simbolico rituale che in altre culture, in altre situazioni funzionava più o meno di suo, non aveva bisogno (soprattutto in alcuni secoli non sempre) di una particolare mediazione per essere spiegato, per una serie di motivi, oggi, dalla fine del 1600 inpoi, quindi negli ultimi secoli, non funziona più per automatico, non solo, ma dal punto di vista culturale, almeno qui in Europa, in occidente, siamo progressivamente diventati disabituati a tutte le esperienze simbolico rituali. Anche qui faccio un esempio non diretto ma analogo: uno dei luoghi nella vita dove si esercitano anche le dimensioni simbolico rituali sono i luoghi delle relazioni amorose, perché sono luoghi dove non sempre le parole, i concetti, le idee sono sufficienti e dove dunque servono altre cose, dove serve un corpo, dove servono gesti, silenzi, ritmi, dove alcune cose giuste di per sé in alcuni casi è meglio non dirle, o dirle dopo, dove è fondamentale avere un ritmo che non è solo dettato dalla razionalità. Che cosa succede? Non è un caso che noi, oggi, nell’ultimo secolo abbiamo una così grande fatica nelle situazioni relazionali e nelle relazioni amorose, e che tutti gli studiosi della cultura contemporanea ad es. parlando della condizione giovanile dicono che sarebbe necessario una nuova educazione alle relazioni amorose, perché in qualche modo siamo sempre più analfabeti sulla dimensione simbolico rituale dell’esistenza e quindi fatichiamo a farla funzionare, che poi biograficamente io o un altro siamo ancora abbastanza bravi perché nella nostra famiglia abbiamo ricevuto una certa educazione può essere vero, ma la misura media sociale è di abbassamento di una cultura simbolico rituale. Ovviamente rispetto alla liturgia questo è molto grave, perché la liturgia non è che ha alcuni aspetti simbolico rituali, la liturgia è una esperienza simbolico rituale, quindi se non siamo capaci a far quello non succede più niente. O meglio succede quello che più o meno è successo nell’ottocento, cioè la ritualizzazione della liturgia, che non significa che le persone che vi hanno partecipato facevano male, non sto dicendo questo, ma dal punto di vista obiettivo quello che è successo è che la liturgia è diventata un dovere, un precetto e dove sostanzialmente i bravi cristiani facevano altro durante la liturgia, perché facevano delle altre cose spirituali, essendo totalmente esclusi a quel mondo che non gli apparteneva più da nessun punto di vista.

Allora se questo è il problema in vario modo sono già venute fuori almeno (perché ce ne sono molte di più) tre regole fondamentali della forma simbolico rituale.

La prima è che la forma simbolico rituale è una forma tensionale, cioè irrisolvibile. Faccio esempi molto concreti: c’è una tensione tra significativo per me e significativo per tutti che non potrà mai essere risolta, ma non solo perché tutti siamo diversi, ma perché ogni tipo di soluzione, cioè la liturgia dev’essere significativa per me, oppure la liturgia dev’essere assolutamente significativa per tutti, il singolo non conta, ogni tipo di estremo è un’eresia rispetto alla vicenda cristiana, la liturgia è un’esperienza tensionale tra l’importanza per il singolo, la sua presenza a quel luogo, la capacità che lui ha di entrare in relazione con l’esperienza liturgica e la dimensione comune. Oppure tra stabilità della liturgia, il rito, le parole, la ripetizione, ecc., e la spontaneità tra la distanza della realtà, parole arcaiche, abiti diversi dal quotidiano, luoghi diversi dal quotidiano ecc., e aderenza alla realtà, i problemi, la vita, le questioni, e così via. Potrei continuare perché l’elenco della tensionalità nella liturgia è molto lungo, ma la questione fondamentale è che la tensionalità della liturgia, il fatto che abbia sempre due poli, non è una malattia da curare, è la cura, cioè non è un male che bisogna correggere e finalmente troveremo la soluzione tra silenzio, concentrazione… e accoglienza dei bambini che strillano …, e allora dobbiamo trovare una soluzione, no, non ci sarà mai una soluzione, il giorno che c’è preoccupatevi, perché la liturgia, poiché è simbolico rituale, è tensionale, non si risolve mai. Se si risolve diventa una magia, cioè se si mette da una parte diventa funzionante secondo una logica, esclude l’altro interlocutore, chi deve fare la sua parte che è Dio, che non circoscrivibile mai, quindi in questa relazione con Dio solo se la governo totalmente io ad un certo punto risolvo. Questo per es. è uno dei problemi della liturgia precedente a Vaticano II, che nella preoccupazione di salvaguardare ad ogni costo il mistero e la sacralità di Dio si era talmente sbilanciata su una sola di questa tensione, che è la tensione tra il mistero di Dio e noi che siamo così, che un po’ dobbiamo capire, che un po’ dobbiamo sentirci protagonisti e così via, totalmente sbilanciata sul mistero è diventata di fatto un modo in cui governava Dio, un modo in cui non c’era più una possibilità in cui la liturgia fosse vitale.

La seconda regola della struttura simbolico rituale è quella del ritmo, cioè una logica simbolico rituale non ha lo stesso ritmo che è quello che noi normalmente usiamo nel 90% della nostra vita, che viene definito dagli antropologi il ritmo mercantile. Noi ormai anche nelle situazioni relazionali usiamo un ritmo mercantile. All’inizio circa il metodo dicevo questo è un metodo non efficiente. Ho avuto il controllo dall’ortopedico e quando gli ho chiesto posso cominciare a fare questo quello e quell’altro mi ha risposto che in quindici anni di lavoro da cinque o sei anni a questa parte mentre all’inizio soprattutto i lavoratori dipendenti gli dicevano solo venti giorni mi dà? Adesso anche i lavoratori dipendenti mi dicono no, non posso, venti giorni sono troppi, devo tornare a lavorare prima. E aggiungeva cosa sta succedendo? Tutti hanno fretta, tutti devono essere al massimo dell’efficienza. Allora io credo che qui dietro c’è proprio questo ritmo che in antropologia si chiama mercantile, che non ha niente di male negli ambiti in cui va usato, ma ha tutto di male quando diventa l’unico ritmo della nostra vita che è il ritmo dell’efficienza, del continuo conto tra costi e benefici, quanto tempo ci metto e cosa ci ricavo: è uno dei problemi per cui per es. abbiamo grande fatica nelle relazioni, perché le relazioni non hanno questo ritmo, ne hanno un altro, spesso sono apparentemente in perdita. L’educazione è problematica per questo, perché educare significa fare degli investimenti di cui nel 90 % dei casi tu non vedi il risultato, perché magari quel ragazzo lì a 40 anni si ricorderà alcune cose, farà delle scelte, ma tu non lo saprai mai. Il ritmo simbolico rituale ha un’altra logica. Il ritmo liturgico è un ritmo simbolico rituale, per es. non basta partecipare una volta ad una liturgia, così come non basta parlare una volta ad una persona per diventare amico, c’è un tempo, bisogna annusarsi, girarsi intorno, progressivamente darsi un po’ di fiducia, cominciare a scoprire alcune cose, poi ci sono alcuni passaggi, e poi uno alla fine diventa amico. Per questo la liturgia è un atto di memoria, esattamente come l’amicizia, si può dire di essere veramente amici quando ci si può dire ti ricordi vent’anni fa?, perché si ha una storia condivisa, ma ci sono voluti quei vent’anni, la liturgia è uguale, se uno va a Messa una volta non succede quasi niente, il problema è entrare nel ritmo liturgico.

Terza regola abbastanza importante per la struttura simbolico rituale è che la struttura simbolico rituale necessita che noi ci siamo. Il suo criterio base non è la comprensione, ma l’attenzione. Il nostro modo di esserci non è capendo tutto, ma vedendo tutto, che è diverso. Spessissimo rispetto alla liturgia si dice non capiamo i simboli, non capiamo i segni, i colori. Allora da quando c’è stato Vaticano II tutti quelli che hanno meno di quarant’anni, cioè che hanno fatto il catechismo dopo Vaticano II, hanno avuto almeno due o tre volte nel loro percorso di catechismo una spiegazione di colori, simboli, gesti, in tutte le aule di catechismo c’è il cartellone con l’anno liturgico, cioè tutto è stato spiegato, ma se voi chiedete a chiunque abbia meno di quarant’anni e che ha avuto questo apparato di spiegazioni, uscito dalla Messa di che colore era vestito il prete, il 90% delle persone non lo sa, uscendo dalla chiesa non lo sanno, perché il problema è l’attenzione, non la comprensione, cioè io posso anche non sapere cosa vuol dire, come di fronte ad un quadro astratto posso non sapere cosa l’autore voleva dirmi, ma se lo guardo con attenzione qualcosa quel quadro muoverà in me, se non altro lo schifo. Il problema è che noi con un ritmo mercantile non vediamo, non abbiamo attenzione né a noi stessi, né a quello che accade intorno a noi, invece il nostro modo di esserci è, in primis, un luogo di attenzione, su cui secondo me bisognerebbe molto ragionare, che non è concentrazione. Tutti abbiamo fatto l’esperienza di aver notato delle cose con la coda dell’occhio che ci sono rimaste stampate anche se non eravamo affatto concentrati, anzi forse proprio perché eravamo deconcentrati, cioè l’attenzione è un’altra questione, non è un dato puramente intellettuale.

 

Domanda di Emanuele Hofmann: cos’è il linguaggio Simbolico rituale.

Sono stati necessari circa 5 secoli per distruggere nella pratica cristiana una comprensione immediata di cosa vuol dire simbolico-rituale dubito di poterlo spiegare nei prossimi cinque minuti, perché è esattamente una forma, di cui abbiamo alcuni criteri, che abbiamo perduto, che è parente di alcune espressioni della nostra vita, ma sarebbe esattamente l’obiettivo di questa seconda fase della formazione liturgica. Dopo Vaticano II riacquisire un po’ alla volta il linguaggio simbolico-rituale, la forma dell’esperienza simbolico-rituale parente vicina all’esperienza artistica, poetica, cioè non ha al suo primo interesse i significati, che non vuol  dire no ce ne frega niente dei significati, contano i significati, ma non è il primo, il decisivo. Faccio un esempio, tutti siamo abituati a dire i bambini piccoli hanno le antenne, sembra che non capiscano mai ed invece sentono, non è detto che capiscano, ma sentono, se sono in una casa dove c’è una grande preoccupazione i genitori possono anche non dirgliela, ma i bambini capiscono perfettamente che c’è una tensione, che c’è una preoccupazione, i genitori hanno sempre l’idea di difenderli dalle fatiche. In realtà i bambini apparentemente non dicono nulla, poi se ne escono con una di quelle osservazioni che ti stendono. Lo stesso vale per la liturgia, in una liturgia efficace i bambini stanno bravi senza che nessuno glielo dica, perché i bambini hanno un forte senso simbolico- rituale, noi socializziamo di più la formula esperienziale mercantile, quindi tendiamo a perdere la struttura simbolico rituale, da adulti facciamo più fatica, ci devono spiegare i significati, dobbiamo fare degli esercizi, ci sentiamo come imbranati nell’espressione simbolico rituale.

Simbolico rituale è una forma dell’esperienza umana, che riguarda alcune dimensioni della vita, in particolare in questo caso la dimensione di una possibilità di rapporto a Dio e che è tutta da ricostruire.

 

Intervento di Letizia Barba

La mia personale opinione, che non impegna nessuno se non me, se fossi un parroco avrei due cose fisse, ma fisse come è fisso il catechismo della prima comunione, non esiste al mondo una parrocchia che non lo faccia, bene, male, ma ormai è nella nostra testa, la parrocchia fa la catechesi, quello è un automatismo. Ci sarebbero altre due cose oltre la catechesi che io proprio farei, poi che la gente ci viene non ci viene …, le farei comunque a ripetizione e sarebbero: una lectio divina settimanale fissa, si sa che c’è, punto, ed un corso di introduzione alla liturgia a ripetizione, riofferto all’infinito tutti quelli che vogliono venirci ci vengono, questo lo farei di default, di standard, ma attenzione non è questo che risolve il problema della partecipazione alla liturgia perché i giovani che quell’educazione l’hanno ricevuta hanno gli stessi problemi che hanno gli anziani, lo dicono in altro modo, con altre parole, ma il problema, oggi, è che non abbiamo, non riusciamo ad avere una partecipazione liturgica che non sia in toto dipendente da me, dalla mia intenzione e dal mio senso spirituale e questo non farà mai delle comunità, questo è un problema molto serio, sono d’accordo con lei, ci vuole un lavoro di dissodamento …

 

Domanda di Paolo Basili

Spiego meglio noi abbiamo in qualche modo una percezione spirituale della liturgia, la liturgia sarebbe un atto spirituale, come la preghiera individuale, come dire il rosario ecc., non è così, non perché lo dico io ma non è così nell’insegnamento concorde della chiesa cattolica negli ultimi venti secoli, gli atti spirituali sono una cosa bellissima, che noi abbiamo anche una dimensione spirituale nella liturgia va benissimo, ma di per se la liturgia è un atto pubblico della chiesa, Vaticano II dice, e non è il primo, che l’Eucarestia è fonte e culmine della vita della comunità cristiana, origine e punto d’arrivo, che di per se è il luogo della comunità, che fa la comunità, è l’eucarestia che fa la comunità. Ora, molto banalmente, quando diciamo quella parrocchia funziona, quella parrocchia non funziona lo diciamo in base a se ha gruppi, attività  giovanili, se fa iniziative, se c’è l’oratorio, non in base a come si celebra, perché non raccordiamo, non ci entra come categoria che l’atto liturgico è quello che fa la comunità.

 

Intervento di Paolo Basili

Rispetto alla vita circa gli innamorati a diciotto anni per il terzo appuntamento probabilmente c’è una grande tensione, a quaranta dopo trent’anni che ci conosciamo c’è un altro tipo di tensione, che non è quella dei diciotto anni e a sessanta dopo una vita passata insieme non vuol dire che non me ne frega niente se il mio problema non è più lo stesso di quando avevo diciotto anni, noi invece abbiamo un’attesa rispetto alla liturgia che dovremmo sempre essere dei diciottenni, non siamo dei diciottenni, allora ci sono sicuramente dei momenti in cui ci prepariamo alla liturgia con passione come dei diciottenni, e ci sono messe da buoni sessantenni che hanno condiviso insieme una vita e che hanno un legame fortissimo, anche se non hanno la paranoia dei 60 anni, personalmente trovo che per alcune fasi dei rapporti amorosi sono molto stancanti, perché se uno non può mai mettersi in pantofole e deve sempre essere in tiro alla lunga è un po’ faticoso, dopodiché certo, se uno sta sempre in pantofole non è carino, ci va una certa misura, una storia è fatta anche da tanti momenti diversi, in questo la comunità ha, rispetto alla liturgia, anche rapporti e tempi diversi.

Torno indietro sulla questione del capire, sono completamente d’accorso con lei, serve un po’ capire, sono convinta che è necessario, talmente ne sono convinta che dico se dipendesse da me farei un corso permanente, standard di liturgia ripetuto all’infinito, perché tutti gli adulti non solo i ragazzi possano avere l’opportunità di spiegazioni, conoscenze, elementi di comprensione, ma  non è quello che risolve da solo la questione; è una logica mercantile quella di dire se capisco allora partecipo, non è vero, no, perché io posso conoscere una persona, conoscerla benissimo, stimarla, apprezzarla e non è detto che con quella persona diventi amico, anche se la stimo non c’è niente contro di lei, la conosco capisco come ragiona, non divento suo amico, perché poi oltre il capire c’è un altro passaggio.

L’altra questione, giustamente lei diceva, non abbiamo tutti la stessa sensibilità spirituale e almeno io non ho tutti i giorni la stessa sensibilità spirituale, ci sono giorni in cui sono una diciottenne, un giorno una sessantenne, proprio per questo la liturgia non può essere semplicemente il frutto della sensibilità spirituale, perchè non esiste come media nemmeno all’interno della stessa persona, è un atto della comunità che deve avere la sua permanenza al di là delle sensibilità, deve avere la sua logica, la sua forza, la sua potenza sia che le persone che ci sono molto concentrate attive, prese ecc. e sia anche quando io sto in fondo in un banco, non rispondo nemmeno, sono stanca morta, ma quell’eucarestia è, come dice Vaticano II, fonte e anche culmine, fonte e culmine e l’origine per cui si fa tutto il resto per arrivare lì e su questo secondo me c’è un piccolo problema, perché noi siamo abituati a pensare alla liturgia al massimo come una ricarica per fare delle altre cose, no, di per se l’obiettivo della vita cristiana è la contemplazione di Dio, poi ci può sembrare antipatica e strana questa questione, ma di per se questo è un insegnamento tradizionale, cioè, traduco, i medievali dicevano che il paradiso sarebbe stata un enorme e continua e permanente liturgia, anche quando facciamo le altre cose, la catechesi, la carità, ci occupiamo del territorio di educazione ecc. il nostro problema rimane la nostra passione per Dio e facciamo tutte le cose, cerchiamo di rendere questo mondo migliore, perché siamo convinti che ci sarà finalmente un giorno in cui tutti speriamo anche tutti gli altri staremo in braccio a Dio e ci potremo riposare finalmente e sarà quello che ci basta, non avremo bisogno di altro; per questo Vaticano II dice che la liturgia è fonte e culmine, cioè il punto di partenza poi si vive, ma per tornare lì come appunto in un matrimonio o in una storia uno non è che non lavora più,  a sedici anni e si guarda è tanto gli basta, dopo se è una storia uno fa anche un sacco di altre cose, ma la casa di per se diventa in qualche modo fonte e culmine, uno da lì parte e ha voglia di tutto quello che fa, il denaro, i propri guadagni, le cose belle che gli succedono possano far in modo che quella casa possa star meglio, stare tutti tranquilli, cioè che se si possa stare insieme in pace, senza grane, il che non vuol dire che non ama tutte le cose che fa dal mattino alla sera, da quando esce a prima di rientrare, le cose di cui uno si occupa speriamo che uno le ami, ma detto ciò rimane quel nucleo centrale, di per se è proprio questa la questione forte, è la liturgia il luogo centrale della vita cristiana e per questo certo potremo parlare di tutto da un punto di vista pastorale, i vostri parroci, anche la diocesi, han deciso di partire un po’ da lì, dal punto che fa la differenza e che da una parte è il punto di partenza e dall’altra è anche il punto di arrivo.

Io credo che una dimensione di comprensione, di conoscenza, sia necessaria, benissimo, nessuno ve lo vieta, possiamo organizzare un piccolo corsetto di spiegazione del rito, parola per parola: che gesti si fanno, perché si fanno, che cosa succede, quali oggetti si usano, che storia ha quel segno, volentieri facciamolo, fatelo, ma questa è una delle cose che si può fare con più facilità, siamo esseri razionali e abbiamo bisogno di capire.

 

Intervento di Idria Gurgo

Questo ad es. è un tipico luogo tensionale della liturgia, dove dovremmo prenderci la libertà di sapere che dipende da noi, cioè che se io ho bisogno di capire e come me altri cinque o altri dieci ci organizziamo in modo da capire e se un altro, almeno in questo momento della  sua vita non ha una grande esigenza di capire va bene uguale, perché non è il capire o non capire che diventa discriminante rispetto alla possibilità di fare una liturgia che sia il cuore della comunità, dopodiché se attorno a questo ci servono delle cose, almeno ad alcuni di noi, le possiamo fare con grande libertà. Il problema grossissimo del capire o non capire i segni è che noi avremo sempre una domanda: che cosa vuol dire quel segno?, e c’è la famosa battuta di un mio amico pittore che tutte le volte che qualcuno gli dice cosa vuol dire quel quadro lui risponde: “Se lo sapevo spiegare con le parole avrei fatto il poeta”, “invece faccio il pittore perché quello che so dire con un quadro, non lo so dire con un altro modo”. Quando noi diciamo cosa vuol dire quel segno, se quel segno si potesse dire in parole, ci sarebbe una frase non quel segno, perché quando tu dai una carezza a quell’altro, se quello si gira e ti dice:”Cosa mi vuoi dire?” ti mette in difficoltà, certo un po’ sa cosa gli voleva dire, ma se gli veniva così bene il discorso, invece di fare una carezza glielo spiegava, faceva prima, invece, uno ha fatto una carezza perché più o meno sa che cosa gli voleva dire, ma c’è anche tanto altro che non saprebbe dire. Allora la domanda cosa vuol dire quel segno i liturgisti normalmente rispondono nel secondo secolo, cominciano da lì e ti spiegano che quel segno nel II secolo voleva dire … è stato preso dalla cultura estranea al cristianesimo in cui significava … poi è stato spostato da lì e messo dalla parte opposta della messa, dove significava tutta un’altra cosa, dopo è tornato lì, poi l’hanno tolto, l’hanno rimesso, nel frattempo… scopri che questi segni hanno più strati di significati.

Pensate al Kjrie: era il grido dei ragazzini pagati quando passava l’imperatore di Bisanzio, nella nostra prassi è un gesto penitenziale, voi capite che tra questi due estremi, cioè tra il fatto che i cristiani d’oriente pigliano un gesto per dire Gesù è l’imperatore vero al quale facciamo la richiesta di perdono per i nostri peccati, e l’abbi pietà di noi che i ragazzini dicevano per farsi buttare il denaro perché l’imperatore passando regalava beni: sono povero, dammi qualcosa, tra questi due estremi c’è una storia lunghissima del gesto di battersi il petto o di non fare quel gesto in cui i significati sono stati di volta in volta quelli che hanno mantenuto da una parte un nucleo, e cioè il Signore è colui a cui puoi chiedere con fiducia e questo è il nucleo che rimane, puoi rivolgerti a lui e chiedere, dall’altra c’è dentro molto altro: la simbolica dei segni è estremamente ricca.

Sono perfettamente d’accordo che capire non è discriminante, capisco anche però che chi si sente molto tagliato fuori dice almeno spiegatemi l’alfabeto di base, che così posso entrarci, dipende molto da come ci sentiamo noi, personalmente io imparo tutto dalle bibliografie perché studio, anche quando devo accendere la lavatrice nuova, prima leggo le istruzioni, datemi un pezzo di carta che mi tranquillizza, ho cominciato studiandola la liturgia, perché questo è il mio modo di stare al mondo, dopo averla ben studiata però mi sono resa conto che tra studiarla e partecipare c’era un salto che non avevo ancora fatto, diventa un’altra cosa.

 

Voi che aspettative avete sulle vostre eucarestie domenicali?

Intervento di Stevanin

Credo che queste domande siano decisive ed esistono delle piste di risposte, non tanto risposte nel senso che adesso le scrivo la ricetta, esistono delle direzioni su cui lavorare, parto dalla seconda, torno poi alla prima. Io che ci sto a fare? Qui credo che si giochi tantissimo, non solo come noi singoli, che bene o male, poi non avendo 15 anni, una qualche quadra l’ha trovata, qualche ragione se l’è data, qualche equilibrio di starci l’ha trovato, ma proprio per le nostre comunità si gioca proprio a partire da io dove mi metto? La prima cosa che ognuno di noi dovrebbe fare in questa questione è proprio cambiare atteggiamento con quella cosa antica che si chiama conversione, cioè cambiare atteggiamento nel senso di cominciare a diventare uno, una, presente a se stesso nella liturgia, che fa caso alle cose, che fa caso a cosa accade, che fa caso a come lui si mette, dico sempre a chi vuole iniziare questo percorso simbolico rituale il primo esercizio è tutte le volte che vado a  messa, non all’inizio, ma prima del credo, uno dovrebbe chiedersi tutti quegli altri che sono qua hanno visto di  me fino qui, se gli altri stessero pensando qualcosa di me, cosa penserebbero in questo momento? Che sono stanco, disattento, che non mi importa nulla, che ci credo proprio, cosa penserebbero? Il mio corpo, il mio modo di stare che cosa ha mostrato? Non per darci un giudizio, ma per imparare a riconoscere che noi abbiamo una visibilità e che è il nostro corpo che parla.

In una parrocchia dove è stato fatto a lungo questo lavoro, ad un certo punto c’era un problema, molte persone nelle risposte o corrono o vanno troppo lente, alcuni gridano, alcuni non rispondono, c’è un rispondere che non è mai tutti insieme, hai la sensazione dell’accozzaglia: alcuni devono farsi sentire che rispondono, alcuni sembra che abbiano fretta e finiscono il credo tre versetti prima degli altri, e così via. Alcuni parrocchiani che avevano cominciato a ragionare in termini simbolico rituali  dicevano: ma questo non dà un’esperienza di comunità, qua sembra veramente che ci sia una gara, una confusione; allora adesso andiamo al microfono e diciamo: rispondiamo tutti insieme. Ma se fai così tenti di dirigere, per come siamo fatti noi umani se uno tenta di dirigere, si fa peggio, proviamo per un po’ di domenica, anziché metterci tutti seduti vicini, ci spargiamo per la chiesa, rispondiamo tenendo un certo ritmo e con un certo tono, rispondiamo facendo l’esercizio di tenere un certo volume, un certo ritmo che favorisca il fatto di stare insieme, dopo tre domeniche tutti rispondevano insieme, nessuno aveva mai detto niente su questa cosa, ma il fatto che sparse per la chiesa le persone cominciassero ad avere un ritmo, quelli vicini hanno  iniziato ad adeguarsi: dopo un po’ tutti rispondevano in un modo assolutamente omogeneo, perché quando resta l’ultimo che strilla si sente un deficiente e quindi abbassa il tono, nessuno gli ha detto nulla, ma abbassa il tono, se noi siamo consapevoli del gesto che facciamo, di che cosa stiamo mettendo in opera e ci rendiamo conto che gli altri lo vedono, lo sentono, anche non sanno di sentirlo; se uno di noi entra in un bar, pieno di rumore, dove tutti strillano, c’èla Tvaccesa, mangia un panino con un collega e deve strillare per sentirsi, esce dal bar e strilla, se stai in un ristorante dove tutti parlano sottovoce e c’è la luce soffusa fai bene attenzione a non fare la figura del cretino che parla ad alta voce, e se lo facessi tutti ti guarderebbero; c’è una consapevolezza rituale che parte da lì, il mio consiglio è chiedetevi a metà della messa che cosa gli altri hanno visto, sentito di me, che cosa si vede da fuori, se io mi vedessi da fuori che cosa direi di me. S. Ignazio dice che ci sono giorni in cui io non posso ordinare alla mia mente di pensare a Dio e non posso ordinare al mio cuore di rimanere concentrato in Dio, ma c’è una cosa che io posso sempre fare ed è portare il mio corpo davanti a Dio. È una legge molto concreta, che cosa ci stiamo a fare noi lì? Facciamo il pezzo che se non ci fossimo noi nessuno potrebbe fare, nessuno da solo, né il papa, né il vostro parroco, né i vescovi, nessuno da solo è il corpo di Cristo, se ci sta a cuore almeno un po’che Cristo sia per il mondo anche oggi, o ci siamo tutti o Cristo non c’è. Noi andiamo alla liturgia perché il nostro essere lì dice che il Cristo è ancora lì per noi e per il mondo, e senza di noi non potrebbe dirlo, sembra banale, molto spirituale, ma è una cosa fondamentale perché molti giorni di una vita  di un adulto quella è l’unica cosa che riesci a fare per essere cristiano, non c’è molto altro che riesci a fare, non è poco perché alla fine della fine, della fine è l’unica cosa che conta.

 Che cosa può fare una comunità?Può fare molto, basta che entri nella logica di cominciare piano, piano, a piccoli pezzi: quest’anno ci occupiamo di questo, i tempi sono lunghi perché il corpo impara lentamente. Quando impariamo a guidare l’auto, la prima volta che guidiamo siamo tesissimi, nessuno ci può rivolgere la parola perché si deve stare concentratissimi, dopo 30 anni che guidi, se qualcuno ti chiede ma su quella macchina lì la retro è in avanti o indietro? Quello che tutti facciamo è che mimiamo il gesto, perché la mano sa dov’è la retro e guidiamo così rilassati che, pur rimanendo comunque attenti, possiamo ascoltare la radio, parlare con il nostro vicino, perché il nostro corpo ha imparato, ma non lo abbiamo imparato in un giorno e probabilmente abbiamo fatto anche qualche errore prima di prendere l’occhio delle misure … La liturgia si impara così, allora bisogna cominciare con dei piccoli esercizi, per questo parlavo di stile celebrativo: questa comunità da cosa ritiene importante cominciare? Qual è il punto su cui si parla e discute, prima al consiglio pastorale, poi lo presenta, fa tutto quello che deve fare per aiutare tutti ad esserci dentro? Da ottobre quella cosa lì si fa in questo modo, perché ci aiuti a vivere meglio: può essere la scelta dei canti, il modo di rispondere, può essere come ci si muove in chiesa durante la liturgia, può essere come si fa la raccolta delle offerte, possono essere migliaia di punti da cui si comincia, non uno qualsiasi, quello che voi ritenete importante, che può aiutare a far da porta d’ingresso, poi da lì continuate con  un’altra cosa che la comunità può fare.

Un’esperienza utile potrebbe essere, non tutti insieme per non svuotare la messa la domenica, a gruppetti andare a vedere delle comunità che celebrano liturgicamente bene, fare l’esperienza di partecipare ad una liturgia secondo Vaticano II che in genere è legata a luoghi dove c’è una comunità stabile: andate e poi vi chiedete: in cosa è diversa dalla nostra? Hanno lo stesso rituale, dicono le stesse parole, perché c’è un altro clima? E si iniziano  a notare tante cose: in questo è quasi uguale, in questo c’è una piccola differenza, in questo c’è un’altra differenza ecc. e si scopre perché c’è un altro clima, nessuna di queste cose è risolutiva e fa cambiare da una domenica all’altra, perché è una logica di apprendimento, ma tra 5 anni la vostra comunità celebrerà in un altro modo e questo cambierà la faccia della vostra comunità, dovunque si è investito su questo, si è visto il cambiamento radicale del volto della comunità.

 

Intervento di Emanuela Hermanin

La chiesa cattolica conserva il culto dell’Eucarestia fuori dalla messa, per dargli un tempo adorante ed è uno dei contrasti con i protestanti, la chiesa lo considera importante, ma guarda caso lo fa fuori dalla messa, perché la dimensione adorante non è propria, che non vuol dire che è esclusa, ma non è propria, caratterizzante della celebrazione eucaristica, è molto bello quello che lei ha detto, ma paradossalmente da questo punto di vista, bisognerebbe rendersi un po’ conto che la liturgia non è tutta uguale, non c’è solo la messa in cui deve entrare tutto, la chiesa ha conservato una grande gradazione, proprio perché la messa possa essere quello che deve essere, la messa è la memoria di un atto, che è la vita, la morte, la resurrezione di nostro Signore Gesù, memoria non contemplazione, non è un fatto linguistico, nominalistico. Lei dice le parole della consacrazione sono il cuore della messa, questa è la definizione che abbiamo tutti un po’ imparato, che però di per se è legato ad un'altra idea di liturgia, quella che dal600 inpoi è una liturgia cerimoniale, in cui proprio perché le persone dicevano il rosario ecc. ecc. c’era il campanello e l’idea era: almeno nel momento della consacrazione non fate altro, tra campanello e campanello concentratevi, era per salvaguardare il minimo, noi oggi siamo in una logica molto diversa, per es. Vaticano II ci dice che la presenza di Cristo è nell’altare, nel sacerdote che presiede, nell’assemblea, per cui l’assemblea viene incensata, non solo l’altare viene incensato della messa solenne, non solo il prete viene incensato dal diacono, ma viene incensata l’assemblea, perché si dice lì è la presenza di Cristo, il vangelo è la presenza di Cristo ecc. non abbiamo più un tipo di liturgia che è talmente preoccupata di salvare il minimo, e dunque si concentra sulla presenza reale delle due specie, e dunque sulla consacrazione, sull’atto preciso in cui il pane diventa corpo di Cristo, noi abbiamo, grazie a Dio un senso molto più largo. Cristo è presente in molti modi e dunque la nostra attenzione va alla parola, ai fratelli che sono nell’assemblea, al sacerdote che presiede, all’altare, proprio alle cose, all’ambiente, certo anche alla memoria delle parole dell’istituzione, ma di per se, non diciamo che quello è il cuore, il cuore dell’atto eucaristico, è la nostra partecipazione alla mensa eucaristica, è il fare la comunione perché è lì che il Signore ci si dà in modo concreto, facciamo l’esperienza che lo mangiamo e diventa noi, diventa il nostro corpo, noi diventiamo lui in realtà ed è questo il grande mistero dell’eucarestia.

Circa il discorso che lei fa sul canone ecc. ecc. la liturgia chiede delle soglie più che dei silenzi, delle soglie, l’insegnante che dice attenzione, in genere, non dice solo attenzione, ma per esempio sa che subito dopo l’intervallo deve mettere un certo tipo di attività perché i ragazzini devono smaltire l’agitazione che hanno scatenato durante l’intervallo, l’insegnante non può pretendere che i ragazzini funzionino come un interruttore: quelli si scatenano e poi tac, immobili e pronti per un certo tipo di attività più intense, durante una soglia si calmano, si concentrano, un bravo insegnante sa che servono delle soglie.

L’idea di soglia è un’idea fondamentale nella liturgia ed è vero che noi lo abbiamo totalmente perso, siamo totalmente diseducati alle soglie, ma la soglia non è solo quella che ci prepara alle parole dell’istituzione, le soglie sono tantissime, per es. la soglia dell’ingresso, la soglia verso la parola di Dio, la soglia di risposta alla parola di Dio, la soglia che tra il credo e le preghiere universali prepara alla liturgia eucaristica. Ci lamentiamo che la gente arriva in ritardo e ci lamentiamo spesso che le persone arrivano affannate pensando ad altro, ma se per caso qualcuno arrivi tre minuti prima che la messa cominci quello che trova è come entrare in cucina prima del pranzo di Natale: uno che va, l’altro che viene, uno che accorda la chitarra, ecc. una grande confusione. Uno dovrebbe dieci minuti prima della messa aver preparato tutto,ci dovrebbe essere una musica che favorisca l’ingresso in un ritmo diverso, e chi arriva due minuti prima non dovrebbe avere un caos infernale, dovrebbe poter ascoltare magari con un canone di Taizè, un pezzo di musica d’organo, comunque, a seconda dei gusti, una cosa lenta che ti aiuti a rallentare, perchè già tutta la vita corri, se devi passare al ritmo della liturgia hai bisogno di un attimo di decompressione, scopriresti che molta meno gente arriva in ritardo, perché due minuti di quiete per la vita che facciamo tutti sono un bene prezioso, e molti di noi sarebbero molto grati di avere due minuti di quiete, ma se arrivando due minuti prima della messa, arrivi nel bel mezzo di un cantiere … perché il chitarrista arriva 3 minuti e mezzo prima della messa? Ecc… Questa non è una soglia che ci aiuta, questa secondo me sarebbe una soglia importantissima per aiutarci a rallentare. Il problema è che se io devo passare da un ritmo ad un altro non ci posso passare di botto, perché le persone che si danno da fare per la liturgia mantengono lo stesso ritmo che non è quello liturgico, il problema non è se piace o no, il problema è che se io devo passare dal ritmo della vita al ritmo simbolico rituale della liturgia ho bisogno di un passaggio, se lì ritrovo lo stesso ritmo non cambia niente, non entro dentro una logica simbolico rituale, è questo il problema. E giustamente lei dice mi manca lo stile adorante, certo perché se manteniamo lo stesso ritmo non c’è stile adorante, non può esserci, bisogna interrompere il ritmo, lo stile adorante non è tutti stanno zitti, lo stile adorante è nell’interruzione di un ritmo, è un’altra cosa e su questo gli ultimi documenti sull’eucarestia sono molto chiari, è molto forte l’accento sul passaggio di al ritmo del mistero che è un altro ritmo, c’è poco da fare, ma il problema non è che vi convinca io delle mie idee, il problema è che si metta in atto un confronto tra di voi, usando una serie di criteri, non solo è bello, non è bello, ma usando i criteri propri della liturgia cristiana.

 

Intervento di Alberto Hermanin

Bisognerebbe ragionare sulle vostre eucarestie, sono troppo estetizzanti, troppo poco, dove trovate una misura concreta, anche nel termine nostalgico, io non ho niente contro l’affezione al passato. Personalmente sono di madre lingua francese, alla nascita ho imparato le preghiere in francese, io in alcuni momenti della mia vita dico le preghiere in francese, riguardano la mia infanzia, mia nonna, non c’èntrano niente, di per se, con Dio, io non ho nulla contro le nostalgie, ognuno di noi ha il diritto di tenersi il buono che lo aiuta in alcuni passaggi della sua vita, ma qui il problema sono le comunità, il volto delle comunità, di questa comunità, non in astratto, e soprattutto non confondersi sul fatto che negli ultimi 300/400 anni non è che la liturgia fosse perfetta e la riforma l’ha rovinata, è esattamente il contrario lì c’era un problema e la riforma può più o meno aver o non aver trovato una buona o non buona misura di aiutarci a superarlo e noi possiamo a nostra volta aver accolto molto , mediamente, poco, pochissimo la riforma e questo è il percorso  da fare. In questo senso, è vero che si è tentati di dire ah, quando tutti andavano a messa, ma noi dobbiamo fare i conti ora su questo, che tutti non vanno a messa.

Qui il nostro problema è un altro non è la percezione  generale o i mass media, ma come funzionano le messe di questa comunità nella parrocchia dei Sacri Cuori, cominciamo a non buttar via il bambino con l’acqua sporca, facciamo delle liturgie belle, senza farle diventare estetizzanti, come possiamo farle diventare più belle, il più belle possibile senza che necessariamente diventino estetizzanti, questa è la cosa di cui qui in qualche modo ci occupiamo, o vi occupate, se lo preferite …  Io che sono un laico normale, che per di più la domenica lavoro, quindi normalmente non vado sempre nella stessa parrocchia soprattutto a Roma, ma vado anche in giro per l’Italia, non si contano le cose orrende a cui assisto, di bruttezza e di sciatteria, raramente, ma ogni tanto me lo concedo: questo povero prete non lo sapeva, ma è cascato male perché aveva me a messa oggi, vado in sacrestia e gli faccio l’elenco degli abusi liturgici che fatto, citandogli canone per canone. Detto ciò il problema non è questo, che ci sia sciatteria in giro è vero, che poi noi laici ci dobbiamo prendere quello che passa il convento, poi se uno ha un parroco bravo che celebra bene, gli dice bene, perché se ha un pazzo scatenato si becca quello, proprio a causa di questa cosa qua non facciamo discorsi generali, ma mettiamo insieme la buona volontà dei parroci, la buona volontà di un gruppo di laici che si formano alla liturgia e ragioniamo su queste messe qui, le messe che si fanno qui possono essere non sciatte, capaci di soglie, offrire un esperienza simbolico-rituale qualitativamente il più alta possibile, non estetizzanti, non nostalgiche, ma nello spirito di Vaticano II, aiutarci tutti, noi per primi e poi tutti gli altri cristiani che vorranno con noi celebrare a fare quest’esperienza del mistero, questo è il mio problema. Poi sulla sua analisi posso essere assolutamente d’accordo, ma non è questo il problema, non si risolve perché non è che uno glielo spiega ai mass media o a chi per loro che funziona in altro modo, le cose che funzionano non fanno notizia. Dire Vaticano II è tradito è una notizia, dire Vaticano II è attuato non è una notizia è chiaro che non la scriveranno mai, ma il nostro problema è attuarlo.